
Employee retention: mantenere i talenti in impresa
Scopri cosa significa employee retention e quali strategie adottare per trattenere i talenti e ridurre turnover, dimissioni e quiet quitting
DI Katia D'Amico / giugno 2025
Il mercato del lavoro sta diventando un contesto sempre più complesso da affrontare; le organizzazioni stanno vivendo la fatica di non trovare un numero adeguato di persone per le diverse posizioni da ricoprire.
Il mismatch tra domanda e offerta avviene su diversi fronti che vanno da quello retributivo, ai temi legati alle politiche di welfare, al work-life balance che le organizzazioni riescono a garantire e, non meno importanti, alla cultura e allo stile di leadership che le organizzazioni scelgono di mettere in campo.
In questo articolo proviamo a mettere a fuoco alcuni elementi alla base del turn over sui quali identificare le strategie per gestire efficacemente e trattenere i talenti.
1. Employee retention: che cosa si intende e perché è importante
I cambiamenti che il mercato del lavoro ha affrontato negli ultimi 5 anni sono stati determinanti nel portare le imprese a ripensare al concetto di lavoro.
Tra formule di lavoro ibrido, full remote, lavori solo in presenza, pacchetti welfare, uffici ripensati per massimizzare l’ergonomia e il benessere delle persone al loro interno, abbiamo visto molti cambiamenti, non tutti funzionali e non tutti andati a buon fine.
Come mai?
Il cambiamento non è mai semplice da affrontare e le imprese si affacciano su coorti generazionali culturalmente molto diverse dalle precedenti (boomer e genx). Si tratta di giovani professionisti sempre più orientati a sfruttare le proprie competenze in contesti che siano allineati ai loro valori e ai bisogni di un equilibrio sano di vita e lavoro.
Non è questa la sede per esprimere un giudizio di valore in merito, si tratta di un fatto con cui moltissime organizzazioni devono necessariamente fare i conti; all’improvviso non è stato più sufficiente offrire una buona retribuzione e avere un nome altisonante, i nuovi professionisti (circa il 60% della popolazione aziendale) cercano qualcosa di più.
Come abbiamo visto nell’articolo Employee engagement: cos’è e come analizzarlo le organizzazioni possono sfruttare delle metriche precise per comprendere quanto i propri dipendenti siano ingaggiati e motivati rispetto ai valori e agli obiettivi che l'impresa promuove.
Oggi si parla di employee journey, ossia di un vero e proprio processo intorno alla vita professionale di un dipendente, affinché ciascuno possa aver chiaro in che fase della propria vita professionale si trova e l’organizzazione possa valorizzare al meglio le diverse fasi di expertise delle persone.
Ma misurare ingaggio e motivazione e accompagnare le persone nel proprio viaggio professionale in impresa non basta, le persone vanno “trattenute”, parliamo di employee retention, ossia di tutte le strategie necessarie affinchè il dipendente possa rimanere in impresa il più a lungo possibile.
A fronte di una grande volubilità delle condizioni socio economiche e, di conseguenza, dei mercati è fondamentale limitare il turnover in impresa perché mantenere stabili le competenze presenti significa migliorare la stabilità del business.
Ma tutti i dipendenti vanno trattenuti? Vediamolo insieme!
2. Dimissioni e quiet quitting: differenze, caratteristiche e impatto sull'organizzazione
Il periodo post covid è stato caratterizzato da due importanti fenomeni socio organizzativi: le grandi dimissioni e il quiet quitting.
Entrambi i fenomeni impattano in modo negativo sull’organizzazione e sulle persone ma lo fanno in modo diverso.
Partiamo dal quiet quitting (ne trovate una definizione nell’articolo “Quiet Quitting, quando a lavoro si sceglie di fare lo stretto indispensabile”: si tratta di un fenomeno di abbandono silenzioso, le persone iniziano a svolgere le attività minime richieste dalla propria mansione senza alcun tipo di passione o di pensiero critico.
Questo fenomeno per le organizzazioni è un costo molto più alto rispetto a quello del turnover; in questo caso non si perdono competenze perché la persona sceglie una strada diversa, si perdono competenze perché le persone non le agiscono più in modo coerente rispetto al ruolo e alla responsabilità loro assegnata, l’azienda mantiene il costo dei dipendenti senza poter trarre reale beneficio dalla loro presenza.
Queste persone sono spesso elementi di profonda negatività per il contesto professionale: la frustrazione del non riuscire a cambiare, il loro limitarsi al minimo indispensabile li porta ad essere elementi ostativi per il lavoro dei colleghi e a inquinare il clima organizzativo.
A lato c’è poi il fenomeno delle grandi dimissioni: il lavoro in full remote obbligato a fronte del covid ha portato tantissimi lavoratori a comprendere in modo profondo il sacrificio fatto per anni per raggiungere un luogo di lavoro distante da casa. Hanno visto che potevano lavorare dovunque, che le riunioni potevano essere svolte seduti comodi sul proprio divano e che le ore di lavoro potevano essere ottimizzate e integrate nella gestione della propria sfera privata.
Purtroppo, tante organizzazioni, per svariati motivi, hanno scelto di tornare indietro riportando tutti in ufficio e questo ha allontanato tutti coloro che hanno trovato nel hybrid work o nel full remote la propria dimensione ideale di lavoro.
Non prestare attenzione a questi fenomeni significa non curare il proprio business che ne risente in termini di costi, di immagine verso i potenziali candidati e, soprattutto, in termini di importante perdita di competenze e valore verso i propri clienti.
3. Employee retention: le soluzioni possibili
Comprendiamo quindi quanto sia importante che le imprese pensino a una vera e propria strategia per gestire questi fenomeni.
Per affrontare la competitività non basta più creare una pipeline di candidati potenziali ma vanno messe in atto azioni che, a 360° gradi, favoriscano i dipendenti nel vivere in un contesto professionale sano e di scegliere di rimanere.
Si tratta di un processo che copre l’intero ciclo di vita dei dipendenti: si va dall’onboarding alle exit interviews.
Vediamo insieme alcune delle singole azioni che possiamo mettere in campo.
Onboarding: come ben sappiamo è l’insieme delle azioni utili a un corretto inserimento di una persona in impresa. Ricordate il vecchio detto “la prima impressione è quella che conta?”, in effetti è proprio così! Dopo aver raccontato cose splendide della nostra organizzazione in fase di selezione è fondamentale accogliere le persone con cura, mettendo loro a disposizione strumenti, indicazioni pratiche, formazione introduttiva che consentano a ciascuno di ambientarsi e di iniziare a camminare sulle proprie gambe sostenuti dai colleghi.
Mentorship e tutoring: l’accoglienza deve essere seguita da persone specifiche che accompagnino i nuovi colleghi nel percorso professionale. Si tratta di colleghi senior che possano essere un riferimento certo e su cui contare per consigli e confronto (mentor) o di colleghi esperti (tutor) che insegnino e favoriscano l’apprendimento delle skill tecniche utili alla professione.
Politiche retributive e welfare: non va mai dimenticato che la prestazione professionale prevede un’adeguata ricompensa. Conoscere le policy e confrontarsi con comparable e competitor consente di impostare politiche di crescita retributiva eque e al passo con il mercato. Allo stesso modo va definita (anche grazie a survey svolte con i dipendenti) la politica welfare che meglio risponde al contesto.
Smart working, benefit, sostegno alla genitorialità, assicurazioni integrative, supporto psicologico gratuito, sono solo alcune delle possibili iniziative che le imprese possono mettere in campo, non è efficace sceglierle tutte ma individuare quelle che, di volta in volta, rispondono meglio ai bisogni delle persone.
Queste iniziative alleggeriscono il dipendente nella gestione della propria quotidianità e favoriscono la creazione di un legame più forte con l’organizzazione.
Cultura e leadership: per lavorare bene e superare le sfide che il mercato pone è importante sentirsi parte di qualcosa. Condividere con colleghi e impresa la medesima visione del business e la medesima cultura è un elemento fondante perché le persone si possano davvero spendersi con passione nelle attività che svolgono. Tutto ciò è importante che sia sostenuto anche da una buona leadership: chi guida deve farlo secondo i valori che l’organizzazione promuove. Il feedback, la comunicazione costante e trasparente sono strumenti centrali per creare team coesi e orientati al risultato.
Formazione: una delle domande che faccio più spesso nel corso delle interviste di selezione è: “cosa si aspetta da noi?” e la risposta è spesso la stessa: “voglio imparare, voglio trovare un’impresa che mi permetta di apprendere e di formarmi”.
Abbiamo la fortuna di essere circondati da giovani professionisti che vogliono imparare e che vogliono farlo in contesti dove il continuous learning sia un valore condiviso, garantire loro percorsi adeguati e strumenti di apprendimento moderni e di semplice utilizzo è qualcosa di ormai necessario e imprescindibile.
La sfida attuale delle organizzazioni non si limita quindi al reperimento di nuovi talenti, ma anche alla gestione costante del patrimonio che le persone già in impresa mettono a disposizione ogni giorno.
In questi nuovi scenari la funzione HR cambia e si trasforma in un’integrazione sempre maggiore con quelle che sono le attività del marketing. Le imprese devono imparare a comunicare internamente ed esternamente in modo chiaro ed efficace al fine di mostrare con chiarezza e coerenza le azioni che mettono in campo per le persone.
CHI L’HA SCRITTO?

Giocatrice di Lego dal 1980, amante di Star Wars e di ogni tipo di prequel e sequel prodotto ad oggi. Incapace di star ferma, curiosa del mondo per scoprire cosa succede di nuovo e per imparare qualcosa. Sbadata e con la testa tra le nuvole, amo inciampare e ridere di sé.