Gender Pay Gap? L’UE obbliga alla trasparenza
La nuova Direttiva UE 2023/970 impone trasparenza salariale per colmare il divario retributivo di genere in Italia entro il 2026.
DI Gloria Bacciu / dicembre 2025
Quando si parla di stipendio, in Italia siamo bravissimi a fare gli ermetici. Il motto è "non si chiede, non si dice, e se sei donna prendi un po' meno, perché così è."
I dati INPS lo confermano: le lavoratrici italiane continuano a portarsi a casa in media il 20% in meno dei loro colleghi uomini. Un divario retributivo di genere - Gender Pay Gap -, che non è un incidente, ma il risultato di un vero e proprio percorso a ostacoli (meno contratti stabili, più carichi di cura a casa, meno poltrone dirigenziali – siamo al 21% scarso).
Ma la pacchia, per le imprese che amano il mistero sulle cifre, sta per finire.
Dall’alto di Bruxelles è arrivato un "ceck-mate" legislativo: la Direttiva UE 2023/970 sulla Trasparenza Salariale. Entro giugno 2026, l’Italia (e tutti gli altri Paesi UE) dovranno recepirla. E fidatevi, l'effetto sarà più esplosivo di un aumento di stipendio a sorpresa.
IN QUESTO ARTICOLO
1. Prevenire la "zona grigia" retributiva
L'obiettivo principale della direttiva sulla trasparenza salariale è smantellare la mancanza di chiarezza sui livelli retributivi, quella che viene definita la "zona grigia" che storicamente ha permesso trattamenti salariali differenziati per ruoli e mansioni identiche o simili.
Come sottolinea l'Avvocato Ornella Patané, esperta di diritto del lavoro per le imprese, questa direttiva è "dirompente" perché i suoi obblighi si applicano a tutte le aziende, indipendentemente dalle loro dimensioni. La trasparenza dovrà coprire ogni elemento che compone la retribuzione: fisso, variabile e complementare.
2. Nuove Regole nel recruiting e obblighi per le aziende
L'impatto si sentirà fin dalla fase di selezione
- basta richieste di storico salariale: i datori di lavoro non potranno più chiedere ai candidati informazioni sulla loro retribuzione precedente. L'intento è evitare che le disparità salariali pregresse si perpetuino in un nuovo impiego.
- Chiarezza in fase di assunzione: i candidati avranno il diritto di ricevere informazioni sul livello retributivo iniziale o sulla fascia retributiva prevista per la posizione.
- Verifica dei sistemi retributivi: le aziende dovranno in primis assicurarsi che i propri sistemi di retribuzione siano basati su criteri oggettivi, neutri rispetto al genere e non discriminatori, procedendo alla revisione se necessario.
3. Diritto all'informazione retributiva per i dipendenti
Durante il rapporto di lavoro, la trasparenza diventa un diritto attivo. I dipendenti potranno richiedere e ricevere dati dettagliati sulla propria retribuzione individuale e confrontarla con quella di colleghi che svolgono un lavoro di pari valore o mansioni similari.
L'Avvocato Patané evidenzia l'urgenza per le imprese di prepararsi fin da ora, definendo il proprio sistema retributivo e le modalità per il monitoraggio e la comunicazione dei dati richiesti.
Come diventare l'azienda che tutti sognano? Scoprilo nel nostro articolo dedicato!
4. Obbligo di intervento in caso di pay gap significativo
La direttiva introduce anche un meccanismo di responsabilità progressivo, con un focus sulla rendicontazione pubblica dei dati: a partire dal 2027, le aziende con più di 250 dipendenti (e dal 2031 quelle con più di 100) avranno l'obbligo di rendicontare pubblicamente il proprio divario retributivo di genere.
Se il divario retributivo medio tra uomini e donne per un lavoro di pari valore risulta pari o superiore al 5% e non è giustificato da criteri oggettivi e neutri, l'azienda è obbligata ad avviare una valutazione congiunta con le organizzazioni sindacali per definire un piano d'azione volto a colmare il divario.
Questo rende l'analisi interna del divario salariale e l'impostazione di piani di rimedio un'attività non più facoltativa, ma cruciale per non incorrere in sanzioni.
5. Lo scenario europeo e la corsa al recepimento
La direttiva non è un'idea astratta; si basa su sperimentazioni già avviate in alcuni Stati, come il Regno Unito (con l'obbligo di gender pay gap reporting dal 2017) e la Germania (con il diritto dei dipendenti di chiedere informazioni salariali dal 2018).
Oggi, Paesi come la Francia hanno già annunciato l'imminente recepimento, mentre altri come la Svezia sono in fase avanzata di studio operativo.
E l'Italia? Sebbene i margini di discrezionalità nel recepimento siano limitati (principalmente relativi all'efficacia delle sanzioni), è evidente che il tempo stringe. La norma europea è chiara: l'inerzia non è un'opzione.
5.1 Cosa è successo a Londra e Berlino
Germania e Regno Unito hanno agito in anticipo rispetto a questo tema, ma con approcci molto diversi. L'analisi dei loro "esperimenti" pre-direttiva ci dice molto sulla strada che l'Italia sta per intraprendere.
Nel Regno Unito, il meccanismo è semplice: il Gender Pay Gap Reporting.
Dal 2017, le aziende con più di 250 dipendenti sono obbligate a pubblicare annualmente sul sito del governo (e sul proprio) le statistiche dettagliate sul divario retributivo tra generi.
Cosa mostrano:
- GPG medio e mediano (quanto prendono le donne rispetto agli uomini, in media e in mediana).
- Differenza nei bonus (spesso il dato più scandaloso, dove il divario è altissimo).
- Distribuzione per quartili (quante donne ci sono negli stipendi più alti vs. quelli più bassi).
Il modello britannico si basa sulla "shame" pubblica. Non ci sono multe immediate per un divario alto, ma c'è la pressione mediatica e la concorrenza. Se la tua azienda pubblica un GPG del 30%, diventa immediatamente meno attraente per le donne e, diciamocelo, fa una figura barbina.
Molte aziende (soprattutto nel settore tech o finanziario) hanno iniziato a pubblicare anche piani d'azione correttivi insieme ai dati, non perché obbligate, ma per mostrare serietà sul tema. È la trasparenza che genera l'auto-correzione.
La Germania, con la sua Entgelttransparenzgesetz (Legge sulla Trasparenza Salariale) del 2018, ha adottato un approccio più "privato" e basato sui diritti individuali.
Diritto all'informazione (per aziende > 200 dipendenti): qui il dipendente può richiedere informazioni specifiche sul proprio stipendio rispetto a quello di un gruppo di riferimento (almeno sei colleghi di sesso opposto) che svolgono un lavoro di pari valore.
Il meccanismo ha generato meno clamore mediatico rispetto a quello britannico. Perché? Perché si basa su una richiesta individuale.
Non è la legge che obbliga l'azienda a mostrare tutto, ma il lavoratore che deve avere l'iniziativa di chiedere. E in una cultura aziendale storicamente chiusa sullo stipendio, chiedere può essere un percorso a ostacoli psicologico.
Il diritto è stato utilizzato meno di quanto si sperasse, in parte a causa della complessità della richiesta e del timore di ritorsioni (il classico "se chiedi quanto prendono gli altri, sei quello che crea problemi").
Il recepimento della Direttiva UE 2023/970 è destinato a diventare uno dei principali motori di cambiamento per la parità di genere nel lavoro in Italia, trasformando la trasparenza da ideale a obbligo legale.
Il tempo delle mezze misure e dei segreti salariali è finito. Le aziende sono avvisate!
CHI L’HA SCRITTO?
Quando le chiedevano "cosa vuoi fare da grande?", la sua risposta è stata sempre "soltanto una cosa è limitante", e così ogni giorno improvvisa. Eterna indecisa? No, è solo della bilancia. Amante del bello, della lettura e dell'arte in ogni sua forma.
