<img height="1" width="1" style="display:none" src="https://www.facebook.com/tr?id=325701011202038&amp;ev=PageView&amp;noscript=1">

Formazione

Formazione aziendale: dove eravamo, dove siamo e dove (forse) dovremmo andare

Spoiler: i corsi obbligatori in PowerPoint non bastano più. Se ti accontenti della spunta sul registro presenze, questo articolo non fa per te.

DI Pier Paolo Lisarelli / dicembre 2025

Formazione aziendale: dove eravamo, dove siamo e dove (forse) dovremmo andare
9:14

Ricordate quando bastava un corso di Excel per sentirsi "digitali"?

Quegli anni in cui la formazione era fatta da giornate intere in sala riunioni senza finestre, con slide stracariche di bullet point che venivano letti, parola per parola (🥶). 

Potevate leggerle anche da soli, ovvio, ma quello era il rituale.

Beh, quel tempo è finito. O almeno dovrebbe esserlo (speriamo)

Iscriviti alla nostra newsletter

CHE ASPETTI?

1. Perché la formazione-obbligo è morta (e nessuno ne sente la mancanza)

Diciamocelo: per troppo tempo la formazione aziendale è stata trattata come un obbligo burocratico. Una spunta su una lista.

Sicurezza sul lavoro? ✓ Taaac.
Privacy? ✓ Taaac.
Aggiornamento normativo? ✓ Taaac.

E tutti tornavano alla scrivania, come se niente fosse.

Il problema principale di questo approccio non è (solamente) la noia, quanto piuttosto che questo è nato in un'epoca completamente diversa: le competenze avevano una shelf-life lunghissima. Si imparava un mestiere, e quel mestiere ci accompagnava fino alla pensione. Le tecnologie cambiavano con calma. I mercati erano prevedibili. La formazione serviva per "rimanere aggiornati", non per reinventarsi ogni due anni.

Oggi, invece, quelle regole sono saltate.

2. Dove siamo: le “twin transitions” stanno riscrivendo il mondo del lavoro

Secondo il report Trends Shaping Education 2025 dell'OECD, siamo nel mezzo di due transizioni parallele che stanno ridefinendo il mondo del lavoro. Non piccoli aggiustamenti: trasformazioni epocali.

La transizione tecnologica.
L'intelligenza artificiale non è più roba da convegno futuristico, è quotidianità. Gli annunci di lavoro che richiedono competenze AI sono in costante crescita. E attenzione: non parliamo solo di sviluppatori e data scientist. 

Le persone con una competenza tecnica in ambito AI, cioè in statistica, machine learning e computer science – sono quasi triplicate come quota dell'occupazione totale in meno di dieci anni. Eppure molte aziende faticano ancora ad assumere questi profili. Mancano le competenze, e questa carenza varia moltissimo tra paesi e tra generi.

La transizione ambientale.
I lavori legati alla sostenibilità crescono. Le occupazioni "green new and emerging" – ruoli che prima non esistevano – sono aumentate del 15% in Europa tra il 2019 e il 2022. Parliamo di circa un quinto dei lavoratori OECD impiegati in occupazioni "green-driven", concentrate soprattutto in manifattura, energia, telecomunicazioni, costruzioni e trasporti. Non sono cambiamenti marginali, sono spostamenti tettonici.

E la formazione? Beh, secondo l'OECD, solo quattro adulti su dieci nei paesi OECD partecipano a percorsi di apprendimento formale o non formale legati al lavoro.

Quattro su dieci. Significa che il 60% delle persone verrà potenzialmente lasciato indietro.

3. Non è solo cosa insegniamo, ma come

Torniamo un attimo indietro.

Anche quando le aziende investono in formazione – e, fortunatamente, capita – troppo spesso lo fanno seguendo i vecchi modelli.

Corsi standard per tutti. Contenuti preconfezionati. Il classico approccio "mandiamo tutti al corso sul digital mindset" senza chiedersi se ha senso per un operatore di linea, per un manager commerciale o per qualcuno delle Risorse Umane. 

Spoiler: probabilmente no.

Perché non basta aggiornare i contenuti delle slide: bisogna ripensare il metodo.

Perché oggi le persone non hanno tempo (né voglia) di passare due giorni interi in aula per imparare qualcosa che potrebbero scoprire in mezz'ora su YouTube. E perché l'apprendimento efficace non è più un evento isolato, ma un processo continuo che si integra nel flusso di lavoro quotidiano.

Ti suona familiare? Dovrebbe.

DD_img_interno_articolo.001-Dec-04-2025-09-19-30-6104-AM

4. Dove dovremmo andare: ripensare la formazione da zero

Eccoci al punto. Se vogliamo che la formazione aziendale funzioni davvero – e non sia l'ennesimo simulacro di cambiamento – dobbiamo smettere di considerarla un costo e iniziare a trattarla come l'investimento strategico che è.

Questo significa cambiare paradigma. Non aggiustare qualche dettaglio, ma rovesciare il tavolo su tre fronti fondamentali.

4.1 Da "un corso per tutti" a percorsi su misura

Non tutti hanno bisogno delle stesse competenze. Alcuni devono sviluppare literacy di base su AI e sostenibilità. Altri necessitano di specializzazioni tecniche avanzate. Altri ancora devono affinare competenze trasversali come pensiero critico, resilienza, capacità di adattamento.

La buona notizia? La tecnologia stessa – AI inclusa – può aiutarci a personalizzare i percorsi. Piattaforme che adattano i contenuti in base al livello di competenza, agli interessi, agli obiettivi di sviluppo individuali. Non è fantascienza, è disponibile adesso.

Il punto, però, è culturale prima che tecnologico. Significa abbandonare l'idea che "un corso vale per tutti" e accettare che ogni persona ha un punto di partenza diverso e necessità diverse. Le aziende che lo capiscono stanno già raccogliendo i frutti: secondo il Deloitte Global Human Capital Trends 2025, i modelli di apprendimento personalizzati migliorano significativamente sia l'engagement che la retention dei talenti.

4.2 Imparare tutti i giorni, non una volta all'anno

La formazione non può più essere un evento isolato e separato dal lavoro reale.

Deve diventare parte della quotidianità lavorativa.

Come? Con modalità che permettono di imparare facendo:

  • Micro-learning: pillole formative brevi, fruibili in pochi minuti, integrate nel flusso di lavoro
  • On-the-job training: apprendimento diretto durante l'attività lavorativa, con feedback immediato
  • Comunità di pratica: gruppi interni che condividono conoscenze ed esperienze
  • Peer learning: imparare dai colleghi, senza necessariamente passare da un formatore esterno

L'OECD è chiaro su questo punto: molti lavoratori avranno bisogno di riqualificarsi nei prossimi anni. Non una volta sola, ma più volte nel corso della carriera. Le aziende che non investono in upskilling e reskilling continuo non solo perderanno talenti, ma rischiano di restare indietro rispetto ai competitor.

È un investimento? Sì. Ma consideralo così: quanto ti costa perdere una persona qualificata perché non le hai dato gli strumenti per crescere?

4.3 La formazione che costruisce comunità, non solo competenze

Ecco un paradosso interessante: mentre il lavoro diventa sempre più digitale e remoto, l'aspetto relazionale ed emotivo dell'apprendimento diventa cruciale.

Il report OECD lo dice chiaro: con la crescita del telelavoro – che nei paesi OECD è ormai stabilizzato su 2-3 giorni a settimana per i ruoli che lo permettono – trascorriamo meno tempo in interazioni umane dirette. Questo rende ancora più importante il ruolo socio-emotivo della formazione.

Non si tratta solo di trasferire competenze tecniche. Si tratta di:

  • Creare comunità: costruire legami tra persone che condividono sfide simili
  • Favorire appartenenza: dare alle persone il senso di far parte di qualcosa più grande
  • Costruire fiducia: tra colleghi, tra team, tra livelli gerarchici

La formazione aziendale, quando fatta bene, è anche un'occasione per costruire cultura organizzativa. Per allineare le persone su valori comuni. Per dare senso al lavoro quotidiano.

Secondo il Workplace Wellbeing and Firm Performance dell'Università di Oxford, un punto in più nel punteggio di felicità dei collaboratori si traduce in quasi 1,2 punti percentuali di aumento sul Return on Assets.

La formazione che ignora l'aspetto umano non è solo meno efficace. È anche meno redditizia.

5. Siamo davvero pronti per i nuovi trend della formazione aziendale?

La domanda che il report OECD pone è diretta: i sistemi di education e training sono pronti per sostenere queste transizioni?

La risposta onesta? Non ancora.

Ma questo non significa arrendersi. Anzi, è esattamente il momento di ripensare radicalmente come progettiamo, eroghiamo e misuriamo la formazione aziendale.

Non si tratta di aggiungere un altro corso al catalogo, ma di costruire ecosistemi di apprendimento continuo, dove le persone non vengono "formate" passivamente ma diventano protagoniste attive del proprio sviluppo.

Si tratta, alla fine, di fare una scelta: vogliamo che la formazione rimanga un peso burocratico o diventi uno strumento di trasformazione culturale?

Il punto non è più "se" cambiare, ma "quando". E il quando, che ci piaccia o no, è adesso.

Perché mentre noi ci chiediamo se siamo pronti, le twin transitions non aspettano. E le persone – quelle quattro su dieci che accedono alla formazione, e soprattutto quelle sei che ne restano fuori – meritano di meglio che slide in PowerPoint e registri firma.

Meritano un futuro in cui imparare non sia un obbligo noioso, ma un'opportunità invitante.

E tu? Da che parte stai?

Richiedi la demo di TLP!

VAIIIII

CHI L’HA SCRITTO?

Pier Paolo Lisarelli
Pier Paolo Lisarelli

Ex trainer ora learning designer, dopo aver capito che progettare la formazione è più divertente. Crede nella tecnologia (se usata bene), nelle metodologie innovative e nel fatto che imparare non debba mai essere noioso, profondamente convinto che l'unica formazione decente sia pratica, coinvolgente e possibilmente divertente. Scrive appunti ancora su carta, perché ha 37 anni ed è ormai un boomer. Romano di nascita e ambasciatore del supplì nel mondo, vive a Milano e sogna di sparire un giorno in una baita in montagna.

Hai detto newsletter?
Iscriviti a Dimmi Di+!