Employer branding, comunicazione contestuale e generazioni native digitali
Employer branding, comunicazione contestuale e generazioni native digitali: come attrarre i nuovi talenti e mantenerli all'interno dell'impresa?
DI Andrea Cioffi / giugno 2024
Questo articolo introduce ad una metodologia utile per comunicare la strategia di Employer Branding a supporto dei processi di recruiting in un contesto lavorativo sempre più permeato da processi di trasformazione digitale. Pur non essendo un articolo finalizzato a presentare in modo approfondito le caratteristiche delle nuove generazioni native digitali (Y, Z e Alfa), di esse vi parla visto che stanno per diventare la forza lavorativa più rilevante all'interno delle imprese.
La trasformazione digitale sta avendo impatti significativi sull'organizzazione aziendale, riducendo la rilevanza dello spazio e del tempo all'interno di nuovi modelli di organizzazione del lavoro più trasparenti e condivisi. Cambiano le logiche per misurare la produttività personale e si ridefiniscono gli equilibri tra vita personale e vita lavorativa. In questo scenario si aprono nuove sfide per i processi di recruiting e di sviluppo del capitale umano.
La formulazione di una strategia di employer branding e la sua comunicazione contestuale saranno fattori critici determinanti per attrarre e trattenere in impresa i migliori talenti delle generazioni native digitali.
IN QUESTO ARTICOLO
- 1. Le generazioni native digitali e il mondo del lavoro
- 2. Il lavoro: una delle esperienze di consumo più significative della nostra vita
- 3. Il marketing conversazionale a supporto delle strategie di employer branding
- 4. L'allineamento del valore offerto dall'impresa ai candidati da attrarre
- 5. Il Phygital Work Manifesto
1. Le generazioni native digitali e il mondo del lavoro
Gli ambienti di lavoro stanno osservando la compresenza di tre generazioni differenti: baby-boomers, generazione X e millennials (Y), mentre la nuova generazione Z entrerà presto nel mercato del lavoro.
Queste generazioni hanno priorità e obiettivi diversi: in effetti, essere nati in un determinato periodo storico significa subire l'influenza di tutti gli avvenimenti che lo caratterizzano. Sarà quindi compito dei manager riuscire a gestire le aspettative di questi differenti gruppi di lavoratori.
Una sfida tutt'altro che semplice, considerando gli stereotipi generazionali che tendono ad allontanare piuttosto che ad avvicinare.
Secondo i risultati del Kelly Global Workforce Index (KGWI), un sondaggio globale che ha raccolto le risposte di 164.000 lavoratori di 28 paesi, emerge che i Millennials sono il gruppo generazionale che ha più probabilità di mantenere alcuni stereotipi negativi sui Boomers. Per esempio, la maggioranza dei Millennials (60%) crede che i Boomers non siano al passo con i tempi quando si parla di tecnologia. Inoltre, più della metà (50%) afferma che i Boomers siano disinteressati e non disposti ad aggiornarsi per imparare nuove abilità.
I prossimi paragrafi sono invece dedicati a presentare in sintesi alcune delle caratteristiche principali delle generazioni native digitali (Y e Z).
La descrizione metterà in luce lo stadio del ciclo di vita in cui si trovano, il contesto generazionale di appartenenza, il rapporto con il mondo del lavoro e con i canali di comunicazione digitali.
I millennials (Y)
I Millennials hanno tra i 25 e i 40 anni e hanno avuto un accesso facilitato all'istruzione di base e all'Università. Dopo la Laurea cambiano spesso lavoro, perché il loro obiettivo principale è fare carriera. Fanno network e viaggiano, mentre la famiglia - soprattutto per i più giovani - non è un tema prioritario. Narcisi e molto ricettivi, sono la generazione del we, more, now.
I Millennials stanno pagando gli effetti della grande crisi economica del 2008: sfumata la possibilità di un lavoro stabile, si sono abituati a passare da un contratto all'altro. Dopo aver sperimentato le tre principali forme di precariato (stage, contratti a termine e partiva IVA), si è diffusa tra loro una quarta possibile forma di precariato, ossia la start-up, assecondando la logica dell'inventarsi un lavoro data la difficoltà nel trovarne uno stabile.
Sono tuttavia curiosi e iper-connessi, aperti al cambiamento e alla contaminazione culturale. Vorrebbero essere valorizzati per il proprio talento ed essere considerati portatori di valore per le organizzazioni con le quali entrano in contatto.
Da un punto di vista lavorativo, la generazione Y ricerca la possibilità di lavorare da remoto, il controllo sui propri orari e molta flessibilità. Questi dati assumono un grande rilievo se si pensa che i Millennials stanno entrando nel mercato del lavoro in massa e che molti di loro hanno già raggiunto posizioni manageriali.
Il tema della mobilità è centrale per questa generazione: i Millennials, infatti, sono la prima generazione ad avere un forte orientamento internazionale.
Sin da piccoli, sono stati abituati alle lingue straniere e la mobilità all'estero affiora già negli anni delle scuole secondarie, per diventare prassi all'università. Gli Y hanno testato per primi la portata innovativa delle tecnologie digitali, per le quali provano grande entusiasmo. Prediligono la comunicazione istantanea e per loro i social media sono diventati un elemento imprescindibile per ottenere gratificazione sociale.
La generazione Z
Essendo prossimi all’ingresso nel mondo del lavoro, è doveroso fare qualche riflessione anche sulla generazione Z. Nota anche come la generazione degli artisti, gli Z hanno un’età compresa tra i 9 e i 24 anni.È la vera generazione nativa digitale per il fatto di aver avuto un accesso facilitato alle tecnologie digitali sin dall’infanzia. Ricorrendo a Internet per ogni micro momento di bisogno, la generazione Z impara a diventare indipendente molto presto e velocemente. Fuori dal mondo scolastico sono aperti alla condivisione in qualità di protagonisti dell’economia dell’esperienza, con l’obiettivo di allargare il più possibile il cerchio delle proprie conoscenze.
È una generazione idealista, come dimostrano le recenti movimentazioni a livello internazionale per la tutela dell’ambiente.
Il contesto generazionale degli Z è dominato da eventi ad alto impatto sociale come la caduta delle Torri Gemelle e la grande crisi economica del 2008. Il senso dell'incertezza e della transitorietà ha avuto un forte impatto sul percorso di crescita di questa generazione. Ecco perché sono più indipendenti e perché spesso prediligono l'apprendimento da auto-didatti attraverso il learning by doing.
Nati e cresciuti tra smartphone, tablet e wearables, questa è la prima generazione mobile-first della storia. Gli youtubers sono per loro dei punti di riferimento, praticano il multitasking digitale, utilizzando contemporaneamente diverse applicazioni: le più utilizzate sono Whatsapp, Instagram e Snapchat.
Preferiscono la dimensione visuale rispetto a quella testuale e la sfida è quella di riuscire a catturare la loro bassa soglia di attenzione, minore a 10 secondi.
2. Il lavoro: una delle esperienze di consumo più significative della nostra vita
Viviamo nell’economia dell’esperienza condivisa. È un tema rilevante tanto per le scelte di consumo che per le scelte di produzione.
Con riferimento alle scelte di consumo è sufficiente osservare che la maggior parte dei nostri acquisiti sia condizionata da giudizi di persone che nemmeno conosciamo (peer to peer). Google ha definito questo fenomeno Momento Zero di Verità, ossia la crescente attitudine dei consumatori a scegliere sulla base di chi ha già vissuto l’esperienza di acquisto e di consumo stesso.
Per ciò che concerne le scelte di produzione (imprese), l’economia dell’esperienza condivisa tende a ridefinire il focus della customer centricity: mettere al centro il cliente oggi implica spostare il focus dal prodotto e/o servizio offerto al livello di esperienza che il cliente può vivere sin dalle prime fasi del proprio customer journey.
Ma che cosa è un’esperienza di consumo, oggi, all’interno della sharing e della on-demand economy? Il mio personale punto di vista è che oggi l’esperienza di consumo tende ad assumere un significato nell’atto di condivisione stesso. Per le generazioni native digitali l’esperienza è tale solo se è trasformabile in meta-temi narrativi da condividere, meglio se su Instagram attraverso contenuti temporanei come le storie.
A questo punto è doveroso riflettere su quanto questa considerazione sia valida anche per l’esperienza lavorativa. In linea di principio, il potere delle conversazioni tra pari oggi non dovrebbe essere mai trascurato, a prescindere dal contesto di riferimento, data la portata virale che le conversazioni possono assumere all’interno dei canali digitali.
Inoltre, a ben riflettere, il tempo che dedichiamo al lavoro è espressione di una delle esperienze più rilevanti della nostra vita. Questo perché, mentre lavoriamo, consumiamo l’unica risorsa che ad oggi non possiamo davvero rigenerare, ossia il nostro tempo. Il tempo consumato non ritorna e pertanto deve essere vissuto nel migliore dei modi possibili.
Questo significa che per un nativo digitale, abituato a condividere una storia sulla propria vita personale, è quasi naturale condividere una storia anche sulla propria esperienza lavorativa. Il passaparola digitale, sempre più rilevante nel condizionare le decisioni delle persone, irrompe anche nei contesti lavorativi e potrebbe avere un impatto significativo sulla capacità di un’impresa di attrarre e trattenere i migliori talenti.
Una logica conseguenza di quanto appena scritto è che un’efficace strategia di employer branding oggi non può più essere solo auto referenziata, attraverso il lancio di stimoli comunicativi, ma deve essere in grado di abilitare conversazioni tra pari sulla rilevanza del brand come valido datore di lavoro.
3. Il marketing conversazionale a supporto delle strategie di employer branding
Questo paragrafo cerca di fornire in sintesi una possibile risposta metodologica sul come sia possibile sviluppare forme di marketing conversazionale per comunicare la strategia di employer branding, a supporto del recruiting (attraction).La chiave per far fronte a questa sfida complessa risiede nella forza di un metodo robusto amplificato dalla più opportuna tecnologia. La combinazione di questi due elementi consente lo sviluppo di forme di comunicazione data-driven e, quindi contestuali. L’economia di questo articolo non consente di trattare in modo esteso la complessità di una metodologia di tale portata che è tuttavia possibile approfondire nel libro Digital Strategy edito da Hoepli.
Per approfondire le logiche di funzionamento di una valida tecnologia abilitante il marketing conversazionale è possibile consultare il sito di Hubspot, il relativo blog e il prezioso learning center messo a disposizione dalla stessa società.
La metodologia in questione ruota attorno al concetto di allineamento dei processi comunicativi attorno ai fattori critici di successo dell’impresa o di una sua specifica strategia, come quella relativa all’employer branding. Le fasi di questa metodologia sono le seguenti:
- allineamento delle fonti di valore interne all'impresa;
- allineamento delle fonti di valore interne all'impresa con l'ambiente esterno;
- allineamento strategico dei processi comunicativi;
- allineamento delle performance;
- attuazione della strategia;
- reporting.
In questo articolo affronteremo una breve trattazione della prima e della terza fase metodologica con specifico riferimento alla strategia di employer branding a supporto dell’attività di recruiting.
4. L'allineamento del valore offerto dall'impresa ai candidati da attrarre
Allineare le fonti del valore interne ad un'impresa a supporto dei processi comunicativi per il recruiting implica innanzitutto accettare che la comunicazione d'impresa non sia più estemporanea e casuale.In altri termini, diventa mandatorio liberarsi dalla trappola di comunicare ciò che è facile comunicare per concentrarsi su ciò che è davvero rilevante comunicare, ossia i propri fattori critici di successo.
Per affrontare questa sfida la prima attività da svolgere consiste nella formalizzazione del nucleo strategico di impresa, mettendo in evidenza - nel caso specifico - le principali motivazioni per essere scelti come un valido datore di lavoro. Formalizzare il nucleo strategico implica riflettere su elementi chiave dell'impresa e le domande che seguono possono rappresentare una valida traccia da seguire:
- perché esistiamo come impresa? (missione);
- cosa vogliamo diventare? (visione);
- cosa è importante per noi? (valori);
- quali mete dobbiamo raggiungere? (obiettivi strategici);
- qual è il DNA dell'impresa? (cultura aziendale);
- perché dovremmo essere scelti come posto di lavoro? (employee value proposition).
La formalizzazione del nucleo strategico di impresa dovrebbe risultare non in semplici "statement" da inserire in siti web, presentazioni e business plan. Il nucleo strategico dovrebbe permeare lo storytelling aziendale perché se, come afferma Simon Sinek, le aziende di successo sono quelle animate da un ideale profondo (un perché - why), saper comunicare in modo efficace il proprio nucleo strategico aumenta le possibilità di essere scelti, sia dai clienti che da possibili candidati da attrarre.
Lo step successivo consiste nella determinazione dei fattori critici di successo (FCS) aziendali. Come affermano Bullen e Rockart, i fattori critici di successo sono quel numero limitato di aree in cui il raggiungimento dei traguardi attesi porta a performance competitive di successo sia a livello di singolo individuo, sia a livello di settore o organizzazione.
Una delle metodologie più agili per rilevare i FCS è quella suggerita da David Parmenter attraverso la conduzione di workshop per rendere esplicito il pensiero del management e, con l'impiego di mappa causali per distinguere i fattori di successo dai fattori critici di successo.
Semplificando, si può affermare che questi ultimi sono i fattori che impattano su un maggior numero di altri fattori di successo.
Una volta formalizzati, i FCS devono essere rappresentati attraverso una metodologia visuale e sintetica che possa agevolmente orientare i processi comunicativi di impresa. La metodologia in questione è il Business Model Canvas Comunicativo, direttamente derivato dal Business Model Canvas e ideato per allineare i processi comunicativi di impresa verso ciò che è davvero rilevante per la stessa.
- la rete di valore all'interno dell'impresa, sia in una prospettiva organizzativa (orgoglio di appartenenza ad un gruppo), che individuale (livello di coesione e lavoro in team);
- l'organizzazione interna del lavoro, mettendone in luce aspetti distintivi, innovativi e qualificanti per le persone;
- le risorse chiave, che un'impresa è in grado di mettere a disposizione dei propri lavoratori;
- l'employee value proposition qui rappresentata attraverso il modello del TRUST formulato da Great Place to Work;
- le dinamiche relazionali all'interno dell'impresa, con specifico riferimento al livello di fiducia tra le persone e di engagement rispetto agli obiettivi da raggiungere;
- le caratteristiche del target a cui comunicare, differenziando - se necessario - tra le persone da attrarre e quelle da trattenere in impresa.
Quest'ultimo aspetto meriterebbe un approfondimento specifico da dedicare alla costruzione delle buyer personas, ossia un archetipo di persona ideale, utile per comprendere meglio i bisogni e i comportamenti di gruppi specifici di potenziali lavoratori.
Questa metodologia si adatta bene a strategie di comunicazione di tipo inbound, ossia strategie basate sulla produzione di contenuto informativo ed educativo per attrarre persone in target.Il posizionamento del valore offerto come datore di lavoro sui canali digitali
Mettere a fuoco il nucleo strategico e i fattori critici di successo è una condizione necessaria ma non sufficiente per un’efficace comunicazione della strategia di employer branding.Dopo aver definito gli aspetti distintivi dell’impresa, serve stabilire un ordine di priorità per i messaggi da comunicare, al fine di sedimentare in chi ascolta una corretta immagine di chi comunica e la sua evoluzione nel tempo.
Per raggiungere questo obiettivo è possibile far ricorso ad una matrice di posizionamento da impiegare per tempificare e calibrare gli investimenti comunicativi.
Questa matrice è molto utile sia in sede di pianificazione dei messaggi da comunicare, sia in sede di reporting. In sede di pianificazione, ad ogni posizionamento può essere associato un peso specifico che andrà direttamente ad influenzare gli investimenti comunicativi. A titolo esemplificativo, un’impresa poco nota e quindi meno competitiva sul mercato del lavoro, dovrebbe concentrarsi maggiormente sul presente per raccogliere consensi su quanto oggi possa essere considerata come una valida opportunità dove intraprendere una carriera professionale.
Al contrario, un’impresa di successo e già nota sul mercato, potrebbe sbilanciare parte del proprio piano editoriale per raccontare i fattori critici di successo su cui sta costruendo la propria visione di sviluppo (estensione e/o rottura).
In sede di reporting, invece, questa matrice consente di cogliere per quale tipo di contenuto (consolidamento, estensione, rottura) si sono raggiunti i migliori risultati come, ad esempio, il maggior numero di curriculum in target per specifiche posizioni aperte.
In un contesto economico e sociale caratterizzato da information overload, un’efficace attività di comunicazione diventa fondamentale per sviluppare forme dirette e contestuali di comunicazione. Il punto di partenza è un metodo rigoroso da valorizzare con la più opportuna tecnologia in grado di derivare dai dati raccolti utili insight per indirizzare il processo decisionale.
Costruire un sito e un blog ricco di touchpoint comunicativi (es. chatbot) per interagire con chi ci naviga e per raccogliere informazioni sugli stessi, consente di definire percorsi comunicativi più personalizzati per alimentare nel tempo relazioni improntate sulla fiducia: questo è un presupposto imprescindibile per aumentare i tassi di conversione (es. numero di curriculum in target ricevuti).
Per quanto importante, la comunicazione da sola non è in grado di creare un efficace posizionamento dell’impresa come datore di lavoro, se questa non effettua gli opportuni investimenti per essere allineata con il contesto competitivo di riferimento.
Oggi, la parola chiave di riferimento è digital transformation, sia per ciò che concerne gli ambienti lavorativi, sia per ciò che concerne le modalità di organizzazione e coordinamento del lavoro. Entrano in gioco aspetti come lo smart working, la trasparenza e la condivisione delle informazioni, l’affermarsi di nuove skills (hard e soft) e l’emergere di nuovi modelli di riferimento sempre più integrati tra vita lavorativa e vita professionale (work-life integration).
5. Il Phygital Work Manifesto
L’obiettivo del primo Phygital Work Manifesto è creare un documento programmatico, redatto da manager delle funzioni risorse umane e comunicazione, per promuovere le principali linee guida da seguire per affrontare la trasformazione digitale di un contesto lavorativo.La trasformazione digitale non è più un’opzione per le imprese, ma una sfida da vincere per competere nei mercati e per essere attrattivi nei confronti delle nuove generazioni. Il termine phygital esprime la direzione che il manifesto intende seguire.
Trasformazione digitale non è sinonimo di online ma piuttosto di interoperabilità tra la dimensione online e offline di un contesto produttivo e/o di consumo. Così come gli e-commerce non sostituiranno i retail fisici che sapranno evolversi, anche gli ambienti lavorativi dovranno capire come armonizzare comportamenti umani sempre meno vincolati da una visione tradizionale del tempo e dello spazio. Le tecnologie digitali hanno profondamente modificato aspetti importanti della vita dell’uomo, come trovare un’amicizia, un sentimento e un lavoro.
La sfida per le imprese sarà integrare i nuovi stili di vita delle persone - soprattutto quelli delle nuove generazioni - all’interno di una gestione manageriale aperta al cambiamento. Il Phygital Work Manifesto vuole essere di supporto in questo percorso evolutivo.
CHI L’HA SCRITTO?
Dottore di ricerca specializzato nei sistemi di misurazione delle performance, in qualità di fondatore e amministratore delegato di DD declina queste competenze in ambito digitale, per sviluppare soluzioni operative finalizzate a supportare le imprese a essere efficacemente presenti nei canali digitali. L’esperienza maturata in ambito digitale ha favorito la creazione di Ihealthyou, startup tecnologica innovativa, specializzata nell’indirizzare persone in cerca di cura verso le strutture più adatte in tutta Europa. È docente di Programmazione e Controllo e di Digital Communication Management presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore. L’esperienza nella didattica ha portato a creare Enjoy Your Learning, un’associazione no profit nata con lo scopo di sperimentare innovazioni didattiche sostenibili. Partecipa ad altre associazioni no-profit di prestigio, come l’International Advertising Association di cui è vicepresidente. Insegna in master universitari ed è autore di diverse pubblicazioni su tematiche manageriali.